Magiche Filippine: Palawan e le isole dell’arcipelago di Bacuit
L'arcipelago di Bacuit, nelle Filippine, è un mondo sperduto di giungla e acqua: si naviga fra pinnacoli e grotte, si nuota fra miriadi di pesci. E ci si sente come i primi esploratori. Da Palawan a Snake Island, un tour per lasciarsi sorprendere
I sogni iniziano all’alba nell’arcipelago di Bacuit.
Quando il sole si alza e, come per magia, disegna sull’orizzonte
misteriose silhouette. Sono torri carsiche dalle pareti ripide ricoperte
di vegetazione tropicale, sentinelle millenarie che presidiano un
tesoro prezioso: un tratto di mare immobile e trasparente, dalle mille
sfumature di verde e blu, appena increspato dalle linee lasciate dalle bangka, le tradizionali, esili barche a vela, con bilanciere, dei pescatori locali.
NELL’ARCIPELAGO DI BACUIT: IN BARCA A PALAWAN
Un angolo sconosciuto e senza nome, come molti altri, nell’arcipelago di Bacuit,
bizzarria carsica composta da una miriade di isole che ha pochi eguali
nel pianeta e che assomiglia vagamente alla spettacolare e più nota baia di Halong, in Vietnam. Un universo di picchi verdissimi e acque cristalline, perduto nell’estremo nord dell’isola di Palawan, nelle Filippine,
considerata una delle meraviglie naturalistiche dell’Asia. La Blue
Lagoon di Palawan, nel sudovest del Paese, è un mondo di giungle,
pinnacoli rocciosi e fondali pieni di vita tra il Mar Cinese e il Mare
di Sulu. La stagione secca, da novembre ad aprile, è perfetta per partire.
“La giornata qui indossa abiti dai colori sempre diversi: rosa all’alba, blu nel pomeriggio, rosso la sera”, spiega la guida Alejandro Paras, 36 anni, mentre sale sulla sua bangka e si prepara a lasciare il piccolo molo. “Partiamo così presto proprio per vivere appieno le infinite sfumature, che cambiano continuamente con il passare delle ore. E per godere fino in fondo di un mondo fuori dal mondo, fatto solo dei silenzi e degli spettacoli della natura”.
Mezz’ora, un’ora di barca, forse due. Il tempo sembra essersi fermato mentre si scivola accanto ai pinnacoli imponenti che si innalzano dal mare. Il rosa cede gradatamente il posto al blu del cielo e dell’acqua, che diventa cristallina quando la bangka scorre leggera sopra i fondali di sabbia bianchissima e arriva lì, dove Paras vuole sbarcare.
Il paradiso è racchiuso tutto qui, in un tratto di mare. È un gigantesco acquario naturale, con miriadi di pesci che nuotano sul fondo e i coralli a fare da quinta. Blu che si declina in verde e poi in smeraldo, quando ci si avvicina alle rigogliose rive scoscese che si rispecchiano vanitose sulla superficie liquida. Scivolando silenziosi su un’acqua talmente trasparente che pare di essere sospesi, si approda su una spiaggia deserta, ombreggiata da una corona di palme. Per raggiungere la riva, i piedi affondano nella sabbia bianca: non è che un finissimo letto di coralli mescolato alle onde. La sorpresa? Sedie a sdraio e asciugamani, oltre a kayak, maschere e pinne per lo snorkeling. Paras ha pensato a tutto per garantire una sosta confortevole. In un cesto, viveri e bevande. La griglia è pronta per cuocere pesci e verdure. Sarà un dolce naufragio, sperduti in un angolo di blu.Grande come la Campania, Palawan, scoperta nel 1521 da Ferdinando Magellano, che la chiamò “Pulaoan”, è la più estesa delle Filippine (l’arcipelago è composto da 7.107 isole), ed è un concentrato di bellezze naturali e di luoghi sorprendenti. Acque trasparenti lambiscono baie di sabbia equamente divise tra il Mar Cinese Meridionale e il Mare di Sulu, con una corona di migliaia di isole che si sfrangia lungo le sue coste.
Palawan è un’ultima frontiera, un territorio ancora vergine e selvaggio, anche se, negli ultimi anni, il turismo sta progressivamente cambiando il volto delle località più frequentate. Il capoluogo – e base di partenza – Puerto Princesa, anche se fa professione di essere una delle città filippine più rispettose del verde, con i suoi 200 mila abitanti è cresciuta troppo in fretta e non ha nulla di interessante da mostrare al visitatore. Soprattutto perché basta allontanarsi di pochi chilometri dal centro per ritrovarsi in un mondo rurale dove la natura è ancora padrona.
Attenzione però: se si decide di andare alla scoperta delle meraviglie più vicine alla città, l’arcipelago di Honda Bay, si rischia di trovarsi in mezzo a frotte di visitatori. A bordo di piccoli traghetti si naviga tra manciate di terra simili ad atolli, sabbia bianchissima e palme che si piegano sul mare. E in una giornata si visitano tre isole: Crowie, Lula e Snake. Folla a parte, è comunque un primo, gustosissimo assaggio del paradiso che attende più a nord.
“La giornata qui indossa abiti dai colori sempre diversi: rosa all’alba, blu nel pomeriggio, rosso la sera”, spiega la guida Alejandro Paras, 36 anni, mentre sale sulla sua bangka e si prepara a lasciare il piccolo molo. “Partiamo così presto proprio per vivere appieno le infinite sfumature, che cambiano continuamente con il passare delle ore. E per godere fino in fondo di un mondo fuori dal mondo, fatto solo dei silenzi e degli spettacoli della natura”.
Mezz’ora, un’ora di barca, forse due. Il tempo sembra essersi fermato mentre si scivola accanto ai pinnacoli imponenti che si innalzano dal mare. Il rosa cede gradatamente il posto al blu del cielo e dell’acqua, che diventa cristallina quando la bangka scorre leggera sopra i fondali di sabbia bianchissima e arriva lì, dove Paras vuole sbarcare.
Il paradiso è racchiuso tutto qui, in un tratto di mare. È un gigantesco acquario naturale, con miriadi di pesci che nuotano sul fondo e i coralli a fare da quinta. Blu che si declina in verde e poi in smeraldo, quando ci si avvicina alle rigogliose rive scoscese che si rispecchiano vanitose sulla superficie liquida. Scivolando silenziosi su un’acqua talmente trasparente che pare di essere sospesi, si approda su una spiaggia deserta, ombreggiata da una corona di palme. Per raggiungere la riva, i piedi affondano nella sabbia bianca: non è che un finissimo letto di coralli mescolato alle onde. La sorpresa? Sedie a sdraio e asciugamani, oltre a kayak, maschere e pinne per lo snorkeling. Paras ha pensato a tutto per garantire una sosta confortevole. In un cesto, viveri e bevande. La griglia è pronta per cuocere pesci e verdure. Sarà un dolce naufragio, sperduti in un angolo di blu.Grande come la Campania, Palawan, scoperta nel 1521 da Ferdinando Magellano, che la chiamò “Pulaoan”, è la più estesa delle Filippine (l’arcipelago è composto da 7.107 isole), ed è un concentrato di bellezze naturali e di luoghi sorprendenti. Acque trasparenti lambiscono baie di sabbia equamente divise tra il Mar Cinese Meridionale e il Mare di Sulu, con una corona di migliaia di isole che si sfrangia lungo le sue coste.
Palawan è un’ultima frontiera, un territorio ancora vergine e selvaggio, anche se, negli ultimi anni, il turismo sta progressivamente cambiando il volto delle località più frequentate. Il capoluogo – e base di partenza – Puerto Princesa, anche se fa professione di essere una delle città filippine più rispettose del verde, con i suoi 200 mila abitanti è cresciuta troppo in fretta e non ha nulla di interessante da mostrare al visitatore. Soprattutto perché basta allontanarsi di pochi chilometri dal centro per ritrovarsi in un mondo rurale dove la natura è ancora padrona.
Attenzione però: se si decide di andare alla scoperta delle meraviglie più vicine alla città, l’arcipelago di Honda Bay, si rischia di trovarsi in mezzo a frotte di visitatori. A bordo di piccoli traghetti si naviga tra manciate di terra simili ad atolli, sabbia bianchissima e palme che si piegano sul mare. E in una giornata si visitano tre isole: Crowie, Lula e Snake. Folla a parte, è comunque un primo, gustosissimo assaggio del paradiso che attende più a nord.
ARCIPELAGO DI BACUIT: SABANG E IL FIUME SOTTERRANEO
A meno di un’ora di auto da Puerto Princesa, il villaggio sul mare di Sabang è
la prima di queste sorprese. Qui bisogna assolutamente prendere tempo e
andare con calma. Si rimane a bocca aperta quando ci si affaccia sulla
grande baia ombreggiata da palme e incorniciata da imponenti montagne
ricoperte di lussureggiante vegetazione tropicale. Giganti che sono già
il preambolo del mondo carsico che attende dietro l’angolo. E che
testimoniano come a Palawan sia stata la sua ardita geologia a plasmare
meraviglie naturali così uniche.Qui l’acqua
che si è infiltrata nelle rocce calcaree ha divorato la terra. Pioggia e
mare sono entrati nelle fratture in profondità, scavando, rosicchiando,
allargando le crepe, creando grotte e cunicoli. Così si è formato
l’incredibile Fiume Sotterraneo (oggi parco nazionale), che
sfocia proprio a Sabang e che è stato inserito tra le sette meraviglie
naturali del pianeta: 35 chilometri di lunghezza, con un estuario
sotterraneo che si getta in mare da una spaccatura nella montagna,
proprio a ridosso della spiaggia. Il fiume non è solo un incanto
dal punto di vista speleologico: all’interno vivono numerosissime
colonie di uccelli.
PORT BARTON: LA SPIAGGIA INFINITA
Continuando verso nord, la costa
occidentale è impreziosita da baie e litorali con vista sulle isole che
si stagliano al largo e sugli allevamenti di ostriche da perla, una
delle attività più fiorenti della popolazione locale. Il villaggio di Port Barton
vanta una spiaggia di 14 chilometri, con una sabbia candida e
finissima, purtroppo minacciata da progetti immobiliari. La speranza è
che non spunti un’altra copia di El Nido,
celebre ed esclusiva meta turistica sulla punta settentrionale di
Palawan. Una cittadina dove gli estremi si sono toccati e lo strazio di
cemento ha purtroppo invaso il cuore del vecchio borgo di pescatori,
racchiuso in un eccelso palcoscenico naturale. Fino a qualche decina di
anni fa era un luogo da sogno. Ma resta una meraviglia: i monti
abbracciano la baia dalle pareti di roccia a strapiombo, mentre sul mare
si impone la sagoma dell’isola di Cadlao. Ancora una volta la regia è del carsismo, che ha saputo creare un favoloso angolo di mondo.Altrettanto
incomparabile è ciò che aspetta il visitatore che lascia il trafficato
porticciolo di El Nido per arrivare nelle acque dell’arcipelago di
Bacuit. In un’ora di navigazione si raggiunge l’isola di Miniloc,
punto ideale da cui partire ogni giorno alla scoperta di angoli sempre
nuovi all’interno dell’arcipelago. Per farsi trasportare, di atollo in
atollo, in un ininterrotto sogno marino: si trova sempre qualche
specchio blu per lo snorkeling, per le immersioni o, semplicemente, per
un tuffo.
ARCIPELAGO DI BACUIT: SNORKELING E E TREKKING NELLA GIUNGLA
A piedi da Miniloc, quando c’è la bassa marea, si può raggiungere la Big Lagoon, un lago marino dalle acque cristalline. Con il kayak si penetra invece in un pertugio di roccia per sbucare nella Small Lagoon, una piscina racchiusa tra alte pareti rocciose. La Secret Lagoon è un vasto catino nel quale si entra strisciando lungo un passaggio scavato dalle onde. Come nella Cudugnon Cave:
ci si infila in una piccola grotta per comparire in un’altra enorme
caverna dal soffitto collassato che lascia vedere il blu del cielo. La Cathedral Cave
è invece scavata nella parete di un isolotto e si spalanca verso il
mare. Le stalattiti assomigliano a colonne che reggono la volta lisciata
dal vento che entra con forza in questa architettura naturale.Snake Island si
raggiunge invece in mezz’ora di barca. Qui, con una passeggiata facile,
si arriva sulla cima della sua parete rocciosa, che si alza sul mare e
permette una delle viste più spettacolari sull’intero arcipelago di
Bacuit. E poi le isole di Entalula e Shimizu, dove ci si immerge con le bombole; Lagen, dove si fa trekking lungo i ripidi sentieri ricavati nella giungla; Mantinloc, dove si percorre a nuoto lo stretto di Tapiutan, tra una miriade di pesci, sfiorando la barriera corallina.